Biomarcatori per la valutazione della funzionalità renale
Scritto da Gilad Segev e Alexandra Slon
L’identificazione precoce e accurata della nefropatia cronica è auspicabile, ma nessun singolo test può confermare la diagnosi in ogni caso.
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Punti chiave
La diagnosi di nefropatia cronica (CKD) può essere difficile negli stadi iniziali della malattia, ma è proprio in questo periodo che la gestione medica ha le maggiori probabilità di essere efficace.
La capacità di concentrazione delle urine è spesso compromessa prima che diventino evidenti riduzioni misurabili della funzionalità renale, per cui il peso specifico urinario (USG) è un marcatore relativamente sensibile per la CKD precoce.
La creatinina è un biomarcatore affidabile di velocità di filtrazione glomerulare, ma la sua concentrazione varia notevolmente a causa di modificazioni della massa muscolare, il che determina un intervallo di riferimento ampio.
Altri biomarker stanno iniziando a essere riconosciuti come preziosi strumenti per valutare la funzionalità renale e monitorare la CKD.
Introduzione
La nefropatia cronica (CKD) è molto comune nei cani e nei gatti, in particolare nella popolazione geriatrica, e quindi la sua diagnosi e gestione sono un aspetto di routine della pratica clinica dei piccoli animali (1). I reni hanno una riserva funzionale significativa, motivo per cui i segni clinici della CKD sono spesso assenti nella fase iniziale. Poliuria e polidipsia sono presenti in molti animali negli stadi iniziali, ma possono essere lievi e spesso sfuggire all’osservazione dei proprietari. In medicina veterinaria, la diagnosi di CKD può essere particolarmente difficile negli stadi iniziali, nonostante sia proprio in questo momento che la gestione medica risulta probabilmente più efficace. La diagnosi precoce consente un intervento tempestivo, che punta a preservare il parenchima renale funzionale, rallentare la progressione della malattia, ritardare l’esordio dei segni clinici, e migliorare sia la qualità di vita che la longevità. Al contrario, quando la malattia viene individuata in uno stadio avanzato, il trattamento è principalmente sintomatico, poiché una parte sostanziale del tessuto renale funzionale è già stata persa.
Qual è il modo migliore per identificare la CKD?
La misurazione della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) è considerata lo standard di riferimento per la valutazione della funzionalità renale. Tuttavia, i metodi utilizzati possono essere tecnicamente impegnativi (a seconda della tecnica impiegata) e i risultati sono spesso difficili da interpretare, cosa che rende la misurazione della GFR poco pratica per l’uso clinico di routine (2). Anche la biopsia renale è considerata uno standard di riferimento per la diagnosi e la caratterizzazione della nefropatia, ma è una procedura invasiva e costosa, solitamente riservata a specifiche indicazioni, come la valutazione di una glomerulopatia. Di conseguenza, la diagnosi di CKD si basa principalmente sull’interpretazione dei test di laboratorio e diagnostica per immagini. Gli strumenti diagnostici più comuni per il rilevamento e il monitoraggio della nefropatia includono i marcatori di GFR (ad es. creatinina sierica [sCr], urea [o BUN] e dimetilarginina simmetrica [SDMA]), esame delle urine e diagnostica per immagini (2, 3). Un limite chiave di questi marcatori è la loro bassa sensibilità, in particolare negli stadi iniziali della malattia, nonché la loro bassa specificità (Figura 1) (4). La relazione non lineare tra i marker di filtrazione e la GFR implica che anche cambiamenti sostanziali della GFR nella CKD precoce causano solo piccole variazioni nelle concentrazioni di questi marcatori (Figura 2), e tali sottili cambiamenti rientrano spesso nell’intervallo di riferimento “normale” e sono di conseguenza trascurati. Questa è probabilmente l’origine del comune equivoco secondo cui è necessaria una riduzione di almeno il 75% della funzionalità renale per la diagnosi mediante biomarker (5). In realtà, di norma qualsiasi diminuzione della GFR si traduce in un aumento della concentrazione dei biomarker di filtrazione; tuttavia, dati i limiti sopra menzionati, tali cambiamenti sfuggono spesso all’identificazione, in particolare quando l’intervallo di riferimento è ampio.
Un altro limite dei marker attualmente utilizzati è che non permettono di distinguere le cause sottostanti dell’aumento, quali cause emodinamiche (cioè, prerenali), postrenali o fattori renali intrinseci (ad es. lesione renale acuta o nefropatia cronica) (6). Pertanto, è fondamentale riconoscere che questi marcatori funzionali fotografano un singolo punto temporale, e non possono identificare la causa dell’aumento né determinare un trend in assenza di misurazioni ripetute.


Biomarker di funzionalità renale
Capacità di concentrazione delle urine
Il peso specifico urinario (USG) viene spesso utilizzato nella pratica veterinaria come strumento aggiuntivo per valutare la funzione renale, ed è considerato un marcatore relativamente sensibile per la diagnosi precoce di CKD. La capacità di concentrazione delle urine è spesso compromessa prima che appaiano riduzioni misurabili della funzionalità renale in animali con poliuria e polidipsia (Figura 3). Tuttavia, l’USG è aspecifico e si dovrebbe sospettare una causa renale solo dopo aver escluso altre diagnosi differenziali; inoltre, è importante notare che un singolo campione di urina non concentrata (cioè, USG < 1,030 nel cane oppure < 1,035 nel gatto) non conferma alcuna perdita della capacità di concentrare le urine (7). La persistenza di questo riscontro va sempre valutata in relazione all’assunzione d’acqua giornaliera. Inoltre, l’USG non è un marcatore estremamente sensibile per la CKD, poiché la capacità di concentrare le urine viene solitamente persa solo dopo che si sono verificate riduzioni significative della funzionalità renale. In particolare, soprattutto i gatti, possono conservare la capacità di concentrare le urine negli stadi iniziali della malattia, anche quando i marker di funzionalità si alterano. Pertanto, nei casi di azotemia persistente con capacità di concentrazione delle urine conservata, si dovrebbe considerare la CKD dopo aver escluso altre cause di azotemia. Nelle fasi avanzate della CKD, tuttavia, di norma si verifica una riduzione dell’USG.

Creatinina sierica
La creatinina deriva principalmente dalla degradazione della creatina e della fosfocreatina nel tessuto muscolare (8,9). Viene rilasciata nella circolazione a una velocità relativamente costante, proporzionale alla massa muscolare, e viene eliminata per filtrazione glomerulare, diventando un biomarker affidabile di GFR. Tuttavia, la sua concentrazione varia di molto a causa delle differenze nella massa muscolare, che è inferiore nei cani di piccola taglia e maggiore nei cani di grossa taglia, con conseguente aumento dell’intervallo di riferimento. Per questo è stato suggerito l’utilizzo di intervalli di riferimento specifici per razza (8). Inoltre, gli intervalli di riferimento della creatinina variano tra i laboratori, cosa che ne complica ulteriormente l’interpretazione; ci sono quindi limiti alla sensibilità e specificità della sCr nel rilevare la disfunzione renale (10) (Tabella 1). Come osservato in precedenza, la GFR può ridursi significativamente negli stadi iniziali della CKD, con aumenti minimi dei livelli di sCr, che rimangono spesso nell’intervallo di riferimento. Di conseguenza, la sCr ha un’utilità limitata per la diagnosi precoce di CKD, a meno che non si presti molta attenzione a sottili variazioni nell’intervallo di riferimento. Per superare questo limite, è utile valutare la concentrazione basale di sCr per il singolo animale sano, e poi monitorarlo tramite metodologie coerenti e lo stesso laboratorio per tutte le misurazioni successive. Questo approccio consente di confrontare i valori successivi rispetto a quelli basali del paziente, anziché basarsi su intervalli di riferimento ampi e variabili, e rendere le misurazioni seriali uno strumento diagnostico più efficace. Al contrario, negli stadi avanzati di CKD, anche lievi cali della GFR determinano aumenti significativi e rapidi nelle concentrazioni di sCr.
Tabella 1. Fattori endogeni ed esogeni che influenzano la concentrazione della creatinina sierica (sCr) (10).
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Quando si interpretano i valori di sCr, è molto importante considerare la taglia corporea del paziente: le razze di taglia piccola hanno in genere una sCr basale bassa (< 1,0 mg/dL/88,4 μmol/L), i cani di taglia media tendono ad avere concentrazioni di sCr intorno a 1,0 mg/dL, e le razze di taglia grande hanno solitamente concentrazioni di sCr che superano questo livello, ma raramente oltre 1,4 mg/dL (124 μmol/L). Pertanto, un valore di creatinina pari a 1,3 mg/dL (115 μmol/L) in un cane di razza toy può rientrare nell’intervallo di riferimento “generale”, ma è atipico per la razza e va considerato anomalo.
SDMA
L’SDMA è un sottoprodotto del metabolismo proteico intracellulare e viene eliminata principalmente per filtrazione glomerulare. A differenza della creatinina, negli animali domestici la sua concentrazione non è influenzata dal sesso o dal peso corporeo (8); quindi, come marcatore di filtrazione, offre il vantaggio di non essere influenzato dalla massa muscolare, consentendo una diagnosi precoce di CKD in determinati casi, ed è stata quindi inserita nelle linee guida sulla CKD di IRIS (International Renal Interest Society) per la diagnosi e la stadiazione della malattia (11). Alcuni studi hanno suggerito che la valutazione della SDMA possa facilitare la diagnosi precoce della CKD (12,13), e sia SDMA che creatinina possono essere utilizzate in modo indipendente per valutare la funzionalità renale. Tuttavia, quando non si è certi che un singolo marcatore rifletta accuratamente la situazione, è consigliabile considerare di associarli. Questo approccio è particolarmente utile negli animali con massa muscolare molto alta o molto bassa, dove l’interpretazione della sCr può risultare complessa. Aumenti persistenti di SDMA (superiore a 14 μg/dL) indicano una riduzione della funzionalità renale, anche quando la sCr rimane nell’intervallo di riferimento, cosa che la rende un prezioso marcatore per identificare gli animali con CKD in Stadio IRIS 1 (11). Nei gatti, una concentrazione sierica elevata di SDMA come misurazione a punto singolo, o test di screening, ha mostrato un’efficacia moderata nel confermare la CKD, ma si raccomanda ulteriore monitoraggio per una diagnosi e una stadiazione accurate (13).
Rapporto proteine urinarie/creatinina urinaria (UPC)
La proteinuria renale persistente può essere un’indicazione precoce di nefropatia; pertanto, quando rilevata, si devono valutare cause prerenali, renali e postrenali. La proteinuria renale è più spesso di origine glomerulare; tuttavia, va considerata anche la proteinuria tubulare (e, in misura minore, la proteinuria interstiziale). Se la proteinuria renale viene confermata, va quantificata utilizzando il rapporto proteine urinarie/creatinina urinaria (UPC). Il valore normale di UPC è < 0,2 sia nel cane che nel gatto. Valori di UPC pari a 0,2-0,5 nel cane e 0,2-0,4 nel gatto sono classificati come borderline. La proteinuria renale persistente con UPC > 0,4 nel gatto o > 0,5 nel cane è considerata anomala. La proteinuria persistente di entità elevata (UPC > 2,0) è quasi sempre di origine glomerulare e richiede ulteriori indagini diagnostiche. Le malattie glomerulari possono essere genericamente suddivise in da immunocomplessi o non da immunocomplessi. Gli accertamenti diagnostici sono volti a cercare di identificare la causa sottostante (ad es. un agente infettivo), poiché la diagnosi e la sua eliminazione sono obiettivi terapeutici ad alta priorità, con il potenziale di raggiungere la remissione completa. Una biopsia renale di buona qualità, valutata da un nefropatologo utilizzando colorazioni specifiche e la microscopia elettronica, fornisce informazioni fondamentali per caratterizzare il pattern patologico e orientare le decisioni terapeutiche (ad es. immunosoppressione). In caso di proteinuria renale persistente, la diagnosi è CKD Stadio IRIS 1, anche se i biomarker non sono alterati. Le variazioni della proteinuria devono essere sempre interpretate nel contesto della funzionalità renale, poiché la proteinuria può diminuire in maniera paradossa negli stadi avanzati della CKD, a causa della riduzione nel numero di nefroni funzionali.
Valutazione complessiva della funzionalità renale
Non esiste un singolo biomarcatore con sensibilità e specificità abbastanza elevate da rilevare con accuratezza l’intero spettro delle nefropatie e le relative caratteristiche. Per una valutazione completa della funzionalità renale, si consiglia ai medici veterinari di integrare tutte le informazioni diagnostiche disponibili. In caso di dubbio, è opportuno considerare ulteriori modalità diagnostiche, come ad esempio tecniche di diagnostica per immagini e la biopsia renale (Figura 4). Qualsiasi aumento isolato dei biomarker di funzionalità o la presenza di proteinuria renale persistente deve allertare i medici veterinari affinché indaghino l’eventuale presenza di una nefropatia. Anche se questi valori tornano alla norma nelle misurazioni successive, si raccomanda un monitoraggio periodico per rilevare tempestivamente eventuali rialzi (14). In caso di incertezza tra funzionalità renale normale e CKD in stadio iniziale, i medici veterinari devono programmare follow-up regolari ogni pochi mesi per monitorare il trend e intervenire quando necessario.

Monitoraggio degli animali con nefropatia
I biomarker di funzionalità renale non sono preziosi solo per diagnosticare la nefropatia, ma anche per monitorarne la progressione. La distinzione tra CKD stabile e progressiva ha implicazioni cliniche significative per la valutazione diagnostica, la pianificazione terapeutica e le valutazioni prognostiche. Un approccio comune per valutare la progressione della CKD prevede misurazioni ripetute nel tempo di sCr o SDMA e il calcolo del trend di progressione. Sebbene l’evidenza supporti la validità nel trend di biomarker come sCr o SDMA come indicatori di GFR e quindi progressione della CKD, non esiste un consenso su quali valori definiscano la funzionalità renale stabile (cioè, la CKD stabile) rispetto a una CKD progressiva (15).
L’USG è aspecifico e si dovrebbe sospettare una sua alterazione su base renale solo dopo aver escluso altre diagnosi differenziali; inoltre, è importante notare che un singolo campione di urina non concentrata non conferma la perdita della capacità di concentrazione dell’urina.
Biomarker nuovi ed emergenti
Negli ultimi anni sono emersi nuovi biomarker che si sono rivelati strumenti preziosi per la valutazione della funzionalità renale e il monitoraggio della CKD. Un limite fondamentale dei marker tradizionali è la loro incapacità di rilevare un danno renale che non coincida con alterazioni della funzionalità renale; ad esempio, è possibile che un danno tubulare significativo sfugga se la funzionalità renale rimane inalterata. I biomarker del danno tubulare sono stati inizialmente studiati per la diagnosi precoce di danno renale acuto (16), ma studi recenti suggeriscono che potrebbero essere utili anche per la diagnosi e il monitoraggio della CKD.
Cistatina B
La cistatina B è una proteina intracellulare appartenente alla famiglia degli inibitori delle proteasi della cisteina. È presente in modo ubiquitario in molti tipi di cellule, ma data la sua localizzazione intracellulare, nei soggetti sani si rilevano solo tracce nel siero e nell’urina. La presenza di cistatina B nelle urine è indicativa di lesione attiva delle cellule epiteliali tubulari renali, spesso dovuta ad apoptosi o necrosi (16). Studi condotti su cani e gatti hanno dimostrato che la cistatina B urinaria aumenta anche negli animali con CKD stabile, definita in base ai biomarker di funzionalità, suggerendo che potrebbe esserci un danno tubulare persistente anche quando la CKD è considerata stabile. Ciò evidenzia la sua potenziale utilità nel rilevare lesioni prima che si alterino i marker di funzionalità. Tuttavia, non è stata ancora completamente determinata la sensibilità della cistatina B per la diagnosi della CKD in Stadio IRIS 1. Uno studio recente ha dimostrato che la cistatina B urinaria permette di differenziare una CKD stabile da una forma progressiva in cani con CKD in Stadio IRIS 1 (17), suggerendo che potrebbe diventare un elemento importante nei protocolli di monitoraggio della CKD. Un aumento dei livelli di cistatina B dovrebbe allertare i medici veterinari per una potenziale progressione della malattia.
FGF-23
FGF-23 è un ormone fosfaturico identificato per la prima volta in pazienti umani con disturbi genetici da deplezione di fosforo. Negli animali sani viene secreto principalmente dagli osteociti e dagli osteoblasti in risposta a iperfosfatemia e livelli plasmatici elevati di calcitriolo. Nei reni, FGF-23 inibisce la produzione di calcitriolo sopprimendo l’attività dell’enzima di sintesi della vitamina D (25-idrossivitamina D-1alfa-idrossilasi) e promuove la fosfaturia down-regolando i cotrasportatori sodio-fosforo di tipo II nei tubuli prossimali. Nella ghiandola paratiroide, riduce la produzione e la secrezione del paratormone (PTH) (18). Nei pazienti umani, i livelli di FGF-23 aumentano con il declino della funzionalità renale (19), e aumenti simili sono stati osservati in gatti con CKD. I gatti azotemici con iperfosfatemia mostrano concentrazioni di FGF-23 maggiori rispetto ai gatti normofosfatemici nello stesso stadio IRIS. Questo biomarcatore ha una potenziale utilità nella gestione dei livelli di fosforo nei gatti con CKD. Si noti che la misurazione di FGF-23 non è raccomandata nei gatti iperfosfatemici, poiché è prevedibile che il livello sia elevato in questi casi, mentre livelli elevati di FGF-23 nei gatti normofosfatemici con CKD possono indicare la necessità di un’ulteriore restrizione del fosforo (19).
Un limite fondamentale dei marker tradizionali è la loro incapacità di rilevare un danno renale che non coincida con cambiamenti nella funzionalità renale. Di conseguenza, anche un danno tubulare significativo può passare inosservato se la funzione rimane inalterata.
Conclusione
La diagnosi e la gestione della CKD sono aspetti di routine della pratica clinica nei piccoli animali, ma poiché i reni hanno una riserva funzionale significativa, negli stadi iniziali sono spesso assenti i segni clinici. Spesso, la capacità di concentrazione dell'urina diminuisce prima rispetto ad altri parametri utilizzati per rilevare la CKD, motivo per cui è opportuno misurare l'USG in qualsiasi animale con poliuria e polidipsia; tuttavia, è un test aspecifico e si può avere un USG ridotto anche in presenza di altre condizioni. Sia SDMA che la creatinina possono essere utilizzate in modo indipendente per valutare la funzione renale, ma se si sospetta un danno renale è spesso consigliabile considerare un profilo dei biomarcatori, ed è essenziale distinguere tra CKD stabile e progressiva, poiché ha implicazioni cliniche significative per la valutazione diagnostica, le opzioni di trattamento e la prognosi. Per ottimizzare la sensibilità di questi parametri si raccomandano test seriali. Di recente stanno iniziando a emergere nuovi biomarcatori che potrebbero contribuire a una diagnosi più precoce e accurata della CKD in futuro.
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Gilad Segev
BSc, DVM, Dip. ECVIM-CA (Medicina interna), The Koret School of Veterinary Medicine, Rehovot, Israele
Il Dr. Segev ha conseguito la laurea alla Koret School of Veterinary Medicine dell’Hebrew University di Gerusalemme nel 2000, proseguendo poi con un internship rotazionale e una residency in Medicina interna dei piccoli animali presso la stessa università. Nel 2005 ha conseguito il diploma ECVIM-CA e poi ha vinto una borsa di studio in Nefrologia ed emodialisi presso l’University of California Davis, prima di tornare alla Koret School, dove è Direttore dell’ospedale didattico veterinario. Il Dr. Segev è anche presidente dell’IRIS e membro fondatore di ACVNU.
Alexandra Slon
BSc, DVM, con idoneità per la specializzazione di ECVIM-CA, Midwestern University College of Veterinary Medicine, Glendale, Arizona, USA
La Dr.ssa Alexandra Slon ha conseguito la laurea alla Koret School of Veterinary Medicine di Rehovot, Israele, nel 2018. Durante gli studi ha svolto mansioni tecniche nel reparto di Medicina d’emergenza e terapia intensiva dell’ospedale didattico veterinario. Ha poi completato un internship rotazionale in Medicina d’emergenza e terapia intensiva, seguito da un post-internship di 18 mesi in Medicina interna. Di recente ha completato la residency ECVIM-CA presso l’ospedale didattico veterinario Koret e ha ottenuto l’idoneità per la specializzazione. La Dr.ssa Slon è attualmente Clinical Assistant Professor al College of Veterinary Medicine della Midwestern University di Glendale, Arizona.
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